“Non parlerò, non dirò una parola!”
Di Matteo Cafarelli
Questa è la prima didascalia che appare su schermo e rappresenta il vero e proprio inizio di The Artist, film del 2011 diretto da Michel Hazanavicius. Giovedì 4 aprile 2024 si è tenuto infatti il secondo incontro della rassegna cinematografica dal titolo Non chiederci la parola, organizzata dal critico Giancarlo Beltrame e svoltasi al Teatro Scientifico-Laboratorio di Lungadige Galtarossa 22 a Verona.
Se il film di Mel Brooks proiettato lo scorso marzo, L’ultima follia di Mel Brooks, consiste in una commedia satirica sull’innovazione del sonoro, questo pluripremiato film di Hazanavicius è un melodramma romantico, pregno di citazioni e caratteristiche tecniche del cinema muto del primo ventennio novecentesco.
Michel Hazanavicius, come descritto dallo stesso Beltrame, è un regista francese di origini lituane e ascendenze polacche. La propria attività inizia alla fine degli anni Novanta con un film realizzato esclusivamente per la televisione denominato La Classe américaine. Un grande montaggio di spezzoni ricavati da altri film, tutti prodotti dalla Warner Bros, dove gli attori e i loro personaggi passavano di storia in storia attraverso dei dialoghi e delle scene intelligentemente collegate tra loro. Dopodiché dirige due pellicole parodistiche di OS 117, popolare personaggio spionistico francese ispirato all’Agente 007 di Ian Fleming.
Nel 2011 torna alla regia con questo film, dove decide di dedicare una sorta di lettera d’amore alla storia del cinema, in particolare al periodo del cinema muto. La trama è relativamente semplice. Hollywood, 1927. George Valentin, interpretato da Jean Dujardin, è una star del cinema muto che si trova ad affrontare il proprio declino artistico a causa dell’avvento del sonoro. Dall’altro lato, troviamo Peppy Miller, interpretata a sua volta da Bérénice Bejo, una giovane comparsa che sta per diventare una diva. La storia si incentra sul loro incontro, sulla nascita di un nuovo amore e sugli ostacoli provenienti dalla vita e dall’orgoglio del celebre Valentin che si pongono di fronte al loro cammino.
Come testimoniato dal commento di Beltrame, Hazanavicius rispetta appieno il genere del melodramma, compiendo tuttavia tre importanti rinunce rispetto al cinema contemporaneo. La prima riguarda la parola, presente solamente alla fine del film. La seconda concerne il colore, assente persino alla fine della pellicola, poiché il film è stato prima girato in colore per poi esserne totalmente privato. La terza e ultima rinuncia e peculiarità consiste nella risoluzione schermo, ridotta ai minimi attraverso l’utilizzo del 4:3, il celebre formato fondamentale per la nascita del cinema.
Durante la visione del film, si notano particolari chicche registiche di Hazanavicius, che non tralascia alcun dettaglio visivo. Particolarmente d’impatto la scena a metà film, dove Valentin e Miller si incontrano negli studi cinematografici. Per rappresentare i percorsi inversi intrapresi dai due personaggi, il regista li pone su una scala, comunicando così con astuzia i concetti di ascesa e declino.
Una pellicola che trasuda di affetto e amore verso la settima arte. L’ennesima prova di un artista come Hazanavicius, capace di esprimere i suoi messaggi senza il minimo ricorso al suono della voce. La ripercussione della storia del cinema muto nella cinematografia contemporanea continuerà con il terzo e ultimo incontro di questa rassegna. Vi aspettiamo giovedì 2 maggio per la proiezione di Moebius di Kim Ki-duk (2013), al Teatro Scientifico-Laboratorio in Lungadige Galtarossa 22.